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I gesti scaramantici degli sportivi

Quando un rito apotropaico può salvare da sconfitta certa: ecco a voi i gesti scaramantici che sono passati alla storia

Gesti scaramantici, cerimoniali contro il malocchio, movenze per scacciare qualsiasi anatema e formule propiziatorie e benauguranti da ripetersi con estrema regolarità sono una parte, forse poco conosciuta, dell’universo sportivo. Abituati come siamo a gioire davanti all’impresa tecnica del bomber che realizza un gol da fuori area, del campione che incendia con un tiro da metà campo la retina del canestro e del fuoriclasse che con la forza delle braccia realizza un ace imprendibile, ci dimentichiamo che il bello di calcio, basket e tennis sono anche quei riti apotropaici che possono salvare un giocatore o una squadra intera da sconfitta certa, o almeno così crede Nadal o credevano i Bleus di Laurent Blanc. Ma procediamo con ordine. Lo spagnolo prima di ogni servizio deve nell’ordine: eseguire una propriamente detta “smutandata”, toccarsi il naso, passare i capelli dietro l’orecchio sinistro e poi dietro l’orecchio destro e, infine, toccare la pallina che è nella tasca destra dei pantaloncini. Quanta complicazione per lanciare una pallina! Vero, ma ben venga se serve a prevalere sull’avversario. Meno complesso, ma comunque curioso, era il rituale di cui era depositario Laurent Blanc che soleva baciare la testa di Barthez quale gesto benaugurante. E funzionava eccome, visto che la Francia di quegli anni qualcosina ha pur vinto (Mondiale Francia ’98 ed Euro 2000). Anche le cinque docce di Rajon Rondo prima di ogni partita, o le bistecche di sei etti accompagnate da insalata e patate di Michael Jordan a quattro ore di distanza dai match NBA fanno parte dei curiosi cerimoniali. A noi personalmente non dispiacciono nemmeno le urla della Sharapova prima di ogni punto, il servizio di Ernests Gulbis, che vi consigliamo di gustarvi direttamente sul web, e infine Gigi Riva che nell’unica occasione in cui non indossò la mitica 11 si ruppe una gamba. Da quel momento fino a fine carriera non tradì più il suo numero preferito, e fece benissimo.

Chi più ne ha più ne metta

L’accarezzarsi il viso di Hornacek quale saluto ai suoi tre figli, il lancio del borotalco di LeBron James prima di ogni match e il bacio alla famiglia in occasione dei tiri liberi da parte di Jason Kidd sono solo alcuni dei rituali più famosi a cui ci siamo affezionati nel tempo. Dopo avervi parlato di Laurent Blanc, che era solito baciare la pelata di Fabien Barthez per portare fortuna sia all’estremo difensore sia alla Francia stessa, non possiamo esimerci dal menzionare il “governatore” Paul Ince che indossava la maglia solamente dopo essere entrato in campo. Tra i gesti scaccia malocchio non può mancare quello di Gennaro Gattuso che durante il Mondiale vinto dall’Italia nel 2006 prendeva un libro di Fëdor Dostoevskij, si accomodava in uno dei bagni degli spogliatoi e ne leggeva alcune pagine. Meno poetica, se vogliamo, era la ritualità di cui era protagonista l’ex difensore John Terry che prima di scendere in campo ascoltava sempre lo stesso CD (Usher) e si sedeva sempre nello stesso posto sul bus che portava il Chelsea allo stadio.

I gesti dei dirigenti sportivi e degli allenatori

Oltre agli atleti che scendono in campo, anche i dirigenti sportivi e gli allenatori non sono da meno quando si tratta di gesti scaramantici: Massimo Cellino, per esempio, odia il numero 17 e vieta ai suoi giocatori di indossarlo; Galliani, invece, era abituato in occasione degli incontri dei rossoneri a indossare una cravatta gialla. Chissà di quale colore la indosserebbe se ipoteticamente dovesse mai disputarsi un Monza-Milan di Serie A! Indimenticabile poi è l’acqua santa che Trapattoni aveva sempre con sé in panchina, anche in occasione di quel Mondiale in Giappone e Corea del Sud che non portò per nulla bene agli Azzurri. Infine, i meno giovincelli ricorderanno come Nils Liedholm fosse più che superstizioso: il tecnico del Milan degli anni Sessanta si affidava a corni, polveri magiche e al mago-astrologo Mario Maggi per poter vincere e convincere. A ogni modo, cinquant’anni dopo in fondo non è cambiato proprio nulla.

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